Sfruttare il cambiamento e le necessità a cui da luogo per creare un nuovo business: intervista a Diego Granese che ci parla del temporary manager per il problem solving a 360 gradi.
Il temporary manager: un business d’importazione
Morris: “Ciao benvenuto, benvenuta a te che ci ascolti. Oggi siamo qui insieme a Diego Granese, fondatore di Landmark International. Ciao Diego!”
Diego: “Ciao Morris. Come stai, tutto bene?”
Morris: “Tutto bene, tutto bene. Allora Diego parlaci un po’ di Landmark e soprattutto di che cosa si occupa la tua società.”
Diego: “Innanzitutto ci terrei a presentarmi per chi non mi conosce. Sono un giovane imprenditore, ho 29 anni e ho, diciamo, realizzato nella mia piccola carriera imprenditoriale un po’ di progetti, un po’ di start up e un po’ di attività imprenditoriali. Landmark nasce dalla mia holding, con la quale porto avanti i progetti imprenditoriali. Nasce da un’esigenze, cioè quella di portare il problem solving aziendale a 360 gradi anche in Italia. Questo perché oggi le micro-piccole imprese più che affidarsi al commercialista e all’avvocato non fanno. Quindi anche il ruolo del temporary manager non è valutato nel contesto Italia, ecco. Landmark si occupa principalmente di problem solving aziendale”.
Morris: “Perfetto, perfetto. Quando parli di temporary manager quali sono, diciamo, le cose che più comunemente fa? E come funziona questo tipo di rapporto all’interno dell’azienda che collabora con voi?”.
Diego: “Sostanzialmente si offre questo servizio: che è un manager a tempo. Una piccola azienda non riesce a permettersi un altro manager fisso all’interno dell’azienda e quindi il temporary manager semplicemente va a risolvere dei problemi che ha l’azienda, secondo dei metodi di lavoro.
Quindi risolve delle situazioni (per questo problem solving) e poi si stacca, lasciando continuare l’azienda da sola. Praticamente interviene nei processi aziendali dove c’è un problema, li risolve, insegna a proseguire il cammino da sola all’azienda senza che questa debba affidarsi ogni giorno al manager. Questo tipo di figura a livello internazionale funziona tantissimo perché oggi le aziende che possono permettersi un manager fisso sono poche, a parte le medie grandi e le multinazionali. Perché qui comunque parliamo di piccola media impresa Italiana”.
Fondamentalmente, quindi, il fulcro è questo. Ma non solo nel senso che noi abbiamo la divisione marketing che si occupa di tutto lo sviluppo brand, digital, social media, campagne pubblicitarie. E abbiamo varie divisioni che possono essere quella manageriale, quella assicurativa, quella legale etc. cerchiamo di fornire un problem solving a 360 gradi all’azienda”.
Imprenditori non si nasce: il mood italiano
Morris: “Ascolta, ti chiedo: questo sarà il risultato oggi di un percorso di evoluzione e crescita che hai fatto nel mondo imprenditoriale. Quali sono state secondo te le sfide più grosse che hai dovuto affrontare e come hai fatto per superarle uscendone poi arricchito e arrivando dove sei oggi?”
Diego: “Beh sicuramente iniziare è stata la parte più difficoltosa anche perché non avevo grosse risorse economiche. Quindi iniziare è stato davvero difficile. Ho iniziato con una palestra che ho aperto a 22 anni, quindi 7 anni fa. Da lì poi ho avuto diverse problematiche: ad esempio il mio socio mi ha abbandonato, quindi ho dovuto continuare da solo in un periodo in cui non avevo soldi per assumere personale. Quindi facevo tutto io all’interno dell’azienda, no? Da lì poi una volta che sono riuscito a strutturare la mia prima palestra l’ho venduta per entrare in un grosso brand. Da lì è iniziato il mio percorso imprenditoriale e manageriale che mi ha portato fino ad oggi ad avere diverse attività e a costituire la Landmark. Questa si occupa proprio dell’esperienza vissuta anche con soci, anche confrontandosi con altri imprenditori etc. Purtroppo in Italia c’è la convinzione che l’imprenditore debba fare e faccia tutto da solo. Quindi il consulente in Italia non esiste. C’è il commercialista, a cui l’agenzia si affida ciecamente e basta. Quello che dice il commercialista è giusto, però sappiamo benissimo che il commercialista (ne abbiamo anche noi in azienda) si occupa della parte fiscale, contabile, societaria ma non si occupa quasi mai della struttura, del managemant dell’azienda”.
Morris: “Certo. Un conto è pagare le tasse e un conto è avere la visione di come far crescere l’azienda e andare poi a fare tutte quelle operazioni che servono affinché l’azienda sia sempre meglio strutturata di anno in anno”.
Diego: “Chiaro il management oggi in Italia è fatto dall’imprenditore stesso. Questo magari sa fare perfettamente il suo lavoro (può essere un artigiano, un produttore, un commerciante), ma difficilmente poi arriva a delle conoscenze così ampie da poter gestire tutti quelli che sono i settori dell’azienda. Ad esempio un produttore di scarpe può fare le scarpe più belle, italiane, ricercate, di qualità etc. ma poi quando deve venderle, promuovere il proprio brand o crearlo e svilupparlo a livello internazionale comincia la vera sfida”.
Morris: “Su questo tema ti chiedo: stai parlando di “internazionale” quindi vi occupate anche di internazionalizzazione delle aziende?”
Diego: “Sì ci occupiamo anche di internazionalizzazione delle aziende. Ci sono due modalità per internazionalizzare un’azienda e sono:
- una quella di spostare la produzione o aprire una divisione estera.
- un’altra quella di vendere il proprio prodotto non solo nel proprio Paese o nel proprio continente, ma anche al di fuori, quindi nel resto del mondo.
Internazionalizzazione e offshore
Morris: “Certo. Ascolta, una cosa che vedo tante volte è la confusione tra internazionalizzazione e offshore, che però sono due realtà diverse. Ti vedo molto sull’argomento. Possiamo parlarne?”
Diego: “Ecco andiamo a toccare un argomento delicato che in Italia purtroppo è sempre male spiegato. Aprire un’azienda all’estero è possibile e ci sono tutti gli strumenti legali per farlo. Però il problema diviene che quando chi lo fa, lo fa per evadere il fisco, ad esempio. O lo fa inconsapevolmente.
Il problema oggi non è tanto aprire un’azienda all’estero, una società estera, ma quanto poi la residenza fiscale dei titolari. Questo perché sappiamo che oggigiorno il fisco italiano vuole che i proprietari dell’azienda siano residenti nei Paesi dove si ha l’azienda. Nel caso in cui io sia residente in Italia e detenga partecipazioni estere, può diventare un problema. Può diventare un problema specialmente se l’azienda estera è controllata dallo Stato Italiano. Cosa vuol dire, che gli uffici operativi sono in Italia, anche fittizi però sono in Italia, che io sono residente in Italia, che io vivo in Italia, quindi usufruisco di quello che è tutto il sistema economico e sociale italiano, però gestisco una azienda estera. Questo non si può fare, quindi state molto attenti a tutti i pseudoconsulenti che vi dicono: “apriamo una società a Malta che puoi risparmiare”, “puoi fare, puoi disfare”… etc. Ecco, non funziona più così. Non funziona più così perché ovviamente lo Stato Italiano si tutela, giustamente. Anche la residenza fiscale estera va dimostrata e deve essere continuativa. C’è un tempo, che sono 182 giorni, quindi la metà dell’anno solare (circa) va passata all’estero e in caso di verifica vanno fatte delle dimostrazioni opportune che si è vissuti all’estero. Quindi, insomma, state molto attenti a chi vi propone aperture di società estere per risparmiare, fare e disfare.
Questo non c’entra niente con le aziende che decidono di internazionalizzare e quindi di creare sedi estere, denunciare ovviamente le attività in Italia, pagare le tasse, due volte in alcuni casi (doppia imposizione), dichiarare tutto alla luce del sole con annessi super costi che ne derivano”.
Morris: “Certo, quando paghi tasse doppie è vero che in alcuni Stati si evitano le doppie imposizioni perché ci sono degli accordi, però insomma…!”
Diego: “Ma non è tanto quello il problema, piuttosto è avere degli uffici operativi…”.
Morris: “…in due stati diversi.”
Diego: “Chiaro, nessuno ci vieta di avere delle partecipazioni estere. Bisogna però dimostrare che là c’è un’azienda che lavora con degli amministratori, dei manager, degli impiegati, degli operai. In questo caso non c’è nessun problema. Il problema diventa quando c’è solo la sede della società là e non c’è nessuno che ci lavora o al massimo un’impiegata. Lì, in quel caso, può diventare un problema”.
Le chiavi del successo
Morris: “Certo. Ascolta se tu dovessi riassumere in una parola quella che è un po’ stata la chiave che ti ha portato al tuo successo attuale, e che a 29 anni ti porterà sicuramente anche molto oltre a dove sei adesso, quale sarebbe?”
Diego: “Beh lo spero”.
Morris: “Beh sicuramente sei già partito bene, figuriamoci se ti fermi qua. Ascolta qual è secondo te stata, quindi, la parola chiave che ti ha condotto dove sei adesso?”
Diego: “Mah guarda due cose. Sintetizzerei così. Eventi esterni ed eventi interni.
- Eventi interni nel senso che io caratterialmente sono sempre stato così. Quindi la costanza e la determinazione hanno avuto un ruolo chiave in questo.
- Gli eventi esterni, che io ringrazio sempre, sono tutte quelle persone che mi hanno sempre cercato di tenere a bada o screditandomi o cercando di farmi desistere e che hanno semplicemente amplificato quella che è la mia determinazione e la mia voglia di fare. Io ho fatto un’adolescenza in cui tutti mi dicevano: “Ma che caspita fai?” “Cosa non fai?” e io invece ho sempre fatto tutto lo stesso. L’ho fatto lo stesso e il fatto che avessi delle persone esterne che mi dicevano: “Non farlo”, “Non ti conviene”, “è uno spreco di tempo”, “Vai a fare il dipendente”, “Vai a fare questo”, “Vai a fare quello”. Mi ha sempre di più indotto a motivarmi ulteriormente e a coltivare quelle che erano le mie passioni, i miei interessi, i miei obiettivi.”
Holding: cos’è e quando conviene
Morris: “Molto interessante. Hai parlato prima del fatto che praticamente, diciamo, Landmark International fa parte di una holding. Quando, dal punto di vista imprenditoriale, diventa necessario fare una holding? Quando conviene?”
Diego: “Intanto va spiegato cos’è una holding. Una holding è una società che per natura ha all’interno la proprietà di altre società. Quando diventa interessante farla? Quando praticamente… allora mi spiego. Se io ad esempio ho un’attività, un ristorante, a fine anno avrò degli utili. Quelli ovviamente in caso di divisione degli stessi, se io sono socio, verranno di nuovo tassati per finire a me persona fisica. C’è cioè una tassazione societaria e una tassazione individuale.
Questo nella holding non avviene o avviene poco, mi spiego. Se la società è proprietaria della holding, la holding sulla divisione degli utili utilizza il pex, quindi paga circa l’ 1,30 di imposizione fiscale. Questo cosa permette? Permette praticamente che gli utili di questo ipotetico ristorante finiscano nella holding e possano essere reinvestiti in un’attività senza pagarci ulteriormente tasse.
Un altro vantaggio di una holding è la non tassazione sulla plusvalenza delle partecipazioni, a patto che sia passato un anno. Cosa vuol dire? Vuol dire che se io compro un ristorante con la mia holding e l’anno dopo (passati 12 mesi) lo rivendo a un prezzo maggiore, cioè sulla differenza-guadagno, non pagherò tassazione, a differenza che se io l’avessi fatto come persona fisica. Questi sono i due vantaggi grossi di avere una holding per chi gestisce più attività.
Poi una holding può essere operativa o non. Nel senso che in realtà una società holding può anche lavorare. Può avere un’attività economica propria non soltanto avere partecipazioni.”
Morris: “Bene. Diego, grazie di essere stato qui con noi”.
Diego: “Niente, è stato un piacere.”
Morris: “Come sempre: cambia vita in 15 minuti”!
Diego: “Cambia vita in 15 minuti”!
Se vuoi maggiori dettagli su Diego: www.granesediego.com

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